Al Ttf, il principale hub del Vecchio continente, il combustibile oggi scambia intorno a 17 euro per Megawattora, dopo essersi spinto oltre 20 euro a gennaio, ai massimi da due anni. Il rally, provocato da carenze di Gnl in Asia, sembrava essersi spento. Ma il livello degli stoccaggi europei, dopo diverse settimane di prelievi più intensi della norma, è sceso a livelli allarmanti: sono pieni al 40%, secondo gli ultimi dati Gie, ben al di sotto della media quinquennale per questo periodo che è del 56% (anche se ci sono situazioni più o meno gravi: in Italia siamo al 47,7%, mentre in Francia è rimasto appena il 27% delle scorte).
Il mercato contava sul ritorno di abbondanti forniture di Gnl nelle prossime settimane. Ma la crisi texana solleva qualche interrogativo, almeno sull’immediato futuro. Il governatore Abbott per il momento ha chiesto di fermare l’export solo fino a domenica e le previsioni meteo indicano una possibile risalita delle temperature dalla prossima settimana. Ma la grande macchina dell’Oil&Gas rischia di non riuscire a riprendersi prontamente.
In un’area geografica abituata ad inverni molto miti nessuno aveva preso precauzioni per proteggere gli impianti e potrebbero esserci danni da riparare.
Il ghiaccio ha compromesso ogni singolo anello della catena dei rifornimenti energetici in Texas, dai giacimenti fino ai terminal marittimi da cui partono le metaniere e le petroliere destinate ai mercati di esportazione.
Le operazioni estrattive restano in gran parte paralizzate: giovedì 18 la produzione di petrolio degli Usa risultava ridotta addirittura del 40%, ossia circa 4 milioni di barili al giorno. Le quotazioni del Brent hanno superato 65 dollari al barile nel corso della seduta, mentre il Wti si è spinto oltre 62 dollari, entrambi aggiornando il record da gennaio 2020.