Joe Biden è sotto assedio per l’età. Il presidente americano ha sofferto nel giro di poche ore un doppio colpo alla sua immagine e alla sua campagna per la rielezione alla Casa Bianca: il rapporto del procuratore speciale del Dipartimento della Giustizia Robert Hur, che indagava sulla sottrazione impropria di documenti segreti dalla Casa Bianca quando era vice di Barack Obama, lo ha esonerato legalmente.
Ma in 350 pagine ha messo nero su bianco “accuse” oggi politicamente assai più scottanti: Biden, nel ritratto del magistrato, sarebbe «un uomo anziano con buone intenzioni e scarsa memoria». Fatto che renderebbe «comprensiva» nei suoi confronti qualunque giuria, anche in presenza d’una incriminazione sulla base di maggiori prove e che ignorasse la pratica di non procedere contro presidenti in carica.
Non basta. Biden ha reagito con rabbia al giudizio sferzante, convocando un’improvvisa conferenza stampa concepita per smentire ogni insinuazione sulle proprie condizioni. Nel farlo si è al contrario esposto al secondo colpo, questa volta auto-inflitto. Una gaffe sotto i riflettori del Paese: parlando della guerra a Gaza, ha erroneamente definito Al-Sisi presidente del Messico anzichè dell’Egitto. I portavoce si sono affrettati a liquidare il “boomerang” alla stregua di un innocuo scivolone verbale. Hanno inoltre tacciato la parte del rapporto sulla memoria del presidente come gratuita e motivata da ragioni di partito (Hur, repubblicano, aveva fatto carriera con Trump e il segretario alla Giustizia di Biden, Merrick Garland, gli aveva affidato l’inchiesta quale prova di imparzialità).
Il problema appare tuttavia più profondo. A 81 anni Biden è già il presidente più anziano nella storia americana. E nei sondaggi dell’opinione pubblica la sua età è citata da una maggioranza di elettori, conservatori e democratici, come un fattore squalificante o quantomeno una preoccupazione. I repubblicani ne hanno approfittato per scatenare un’aggressiva offensiva di campagna elettorale sulla presunta “fragilità” che Biden non riesce a scrollarsi di dosso, perché Trump, nonostante abbia 77 anni e sia a sua volta prono a passi falsi, al momento risente meno dell’effetto anzianità. A pesare su Trump potrebbe piuttosto essere il destino di molteplici casi penali, se andranno a processo, a cominciare da quelli legati al tentativo di ribaltare le elezioni del 2020, all’assalto dei suoi sostenitori al Congresso e anche alla sottrazione di dossier top secret dalla Casa Banca (molto più numerosi e delicati rispetto a Biden e con un rifiuto a cooperare). Questi casi vedono Biden dipingere Trump come una minaccia autoritaria ed estremista alla democrazia.
Ma la stessa crisi delle gaffe si è di recente complicata per entrambi i candidati presidenziali, sollevando nervosismo sulla leadership della maggior potenza mondiale, e potrebbe giocare un ruolo significativo nelle urne. Biden è reduce, durante iniziative elettorali, da riferimenti a colloqui con leader europei da tempo mancati, il francese François Mitterrand (invece di Emmanuel Macron) e il tedesco Helmut Kohl (al posto di Angela Merkel). Trump ha ripetutamente confuso i nomi della ex speaker democratica della Camera Nancy Pelosi e della rivale alla nomination repubblicana Nikki Haley. Ha detto di correre contro Obama anzichè Biden e trasformato Viktor Orban nel leader della Turchia.