Comunità globale dal destino condiviso e infrastrutture di rete 5G. O ancora: l’iniziativa di civilizzazione globale e la digitalizzazione dei servizi sanitari o educativi. Tutti elementi che hanno qualcosa in comune: rientrano coerentemente sul percorso Via della Seta digitale della Cina. O meglio, è la Via della Seta digitale che si compenetra strategicamente con la retorica e la diplomazia del Partito comunista cinese che si immagina o descrive come leader del cosiddetto Sud globale.
Sono trascorsi esattamente dieci anni dal lancio della Nuova Via della Seta, traduzione romanticheggiante del più programmatico nome ufficiale di Belt and Road Initiative, con cui il presidente cinese Xi Jinping ha veicolato per la prima volta le sue ambizioni globali. Sotto questa grande etichetta, dal 2015 è entrata a far parte anche la Digital Silk Road, con l’obiettivo di migliorare le reti di telecomunicazione, le capacità di intelligenza artificiale, il cloud computing, l’e-commerce e i sistemi di pagamento mobile, la tecnologia di sorveglianza, lo sviluppo delle città intelligenti in giro per il mondo.
Almeno 17 Paesi hanno firmato accordi per investimenti collegati al progetto. Tra questi diversi tra Medio Oriente e Africa, come Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Turchia. Ma il numero reale dei piani approvati potrebbe essere molto maggiore. Anche perché i confini dell’iniziativa sono piuttosto malleabili. “La Digital Silk Road è un concetto molto flessibile, che può quindi facilmente adattarsi e integrare nuovi concetti e tecnologie – dice a Wired Matthew Mingey, direttore associato di Rhodium Group -. Nel piano d’azione originale, l’attenzione si concentrava sulle infrastrutture di connettività, come i cavi e le apparecchiature di comunicazione. Nel 2017, quando il concetto di Via della Seta Digitale stava prendendo forma, questo concetto si è ampliato per includere tutto, dall’intelligenza artificiale e dal cloud computing alle smart cities e alle nanotecnologie“, prosegue Mingey. “La Digital Silk Road fornisce il concetto, anche se non l’organizzazione formale, per l’impegno tecnologico della Cina“, aggiunge.
I numeri della Via della Seta Digitale
Secondo un report del 2021 del governo cinese, le aziende di Pechino che operano nel settore digitale hanno realizzato 1.334 progetti di investimento e cooperazione all’estero, il 57% dei quali è stato associato alla Via della Seta Digitale. “Si tratta di un’iniziativa ombrello lanciata per continuare in modo strategico e coordinato gli sforzi di internazionalizzazione delle aziende cinesi avviati già a inizio anni Duemila“, dice a Wired Rebecca Arcesati, lead analyst di Merics. “L’idea di partenza era quella di promuovere un maggiore controllo da parte cinese dell’infrastruttura digitale su scala globale“.
Secondo alcune stime, circa un terzo dei 138 Paesi che partecipano alla Belt and Road Initiative hanno dato via libera a progetti in ambito Digital Silk Road. In Africa, ad esempio, la Cina fornisce già più finanziamenti per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione di quanto facciano tutte le agenzie multilaterali e le principali democrazie del continente messe insieme. Eppure, negli ultimi anni è cambiato qualcosa, se non tutto, in materia di rapporti digitali e tecnologici globali. La Cina è passata dall’essere considerata un’opportunità all’essere considerata una minaccia, quantomeno negli Stati Uniti e in buona parte delle democrazie occidentali. “Persino in Germania, uno dei Paesi più riluttante a fare a meno dei fornitori digitali cinesi, il governo ha da poco imposto una drastica riduzione del ruolo delle aziende di Pechino nella parte core delle reti. Nonostante la dipendenza tedesca nei confronti della Cina sia aumentata, passando dal 4G al 5G“, spiega Arcesati.
Le restrizioni non fermano il progetto cinese
Ma se in occidente sembrano erigersi dei muri alla penetrazione digitale cinese, accade il contrario per le economie in via di sviluppo ed emergenti. “Ed è proprio in questa direzione che il governo cinese sta puntando, sia nella sua politica tecnologica sia in quella estera tout court“, dice Arcesati. “Non tutti i Paesi vivono come probematico l’accresciuto controllo statale nei confronti delle aziende private e anzi considerano un’argomentazione convincente l’enfasi di Pechino sulla sovranità tecnologica e digitale“, spiega l’analista del Merics. “La Cina si è integrata sempre di più con ecosistemi che costituiranno il futuro della trasformazione digitale. Basti guardare all’Africa subsahariana, individuata da Pechino come portatrice di grandi opportunità. Anche perché la fornitura di connettività digitale si può tradurre in influenza geopolitica“, sottolinea Arcesati.
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di Lorenzo Lamperti www.wired.it 2023-10-18 05:00:00 ,