Cop26, cosa dice l’accordo per limitare le emissioni di metano

Cop26, cosa dice l’accordo per limitare le emissioni di metano

Cop26, cosa dice l’accordo per limitare le emissioni di metano


di Antonio Piemontese

Glasgow – Limitare le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle del 2020 entro la fine del decennio. Stati Uniti ed Europa hanno annunciato alla Cop26 di Glasgow la firma di uno storico accordo. Sono in totale 105 i paesi che hanno sottoscritto l’impegno. A dare la notizia è stato John Kerry, inviato speciale per il Clima della Casa Bianca in una conferenza stampa congiunta con la presidente della Commissione europea Ursula Van Der Leyen e un pugno di capi di stato e di governo, tra cui Canada, Argentina e persino Libia. Quello che appare evidente, guardando il planisfero, è che tutti i paesi si trovano nella parte sinistra della mappa. Restano fuori Cina, Russia, Australia. La partita a risiko prosegue. 

Perché è un accordo storico

Si tratta, nonostante questo, di uno dei risultati più importanti ottenuti finora a Cop26, la conferenza delle parti in scena a Glasgow. Il metano, hanno spiegato i leader, ha la capacità di riscaldare l’atmosfera circa ottanta volte più velocemente dell’anidride carbonica, gas serra solitamente al centro degli interventi. Ma, ed è questo il punto focale, questa capacità cala drasticamente dopo un ventennio. 

Le cifre sono chiare. Secondo Methane Moment, una ong, mezzo grado dell’aumento di temperatura registrato a livello globale da quando è cominciata l’era industriale (pari a circa 1,1 gradi Celsius, con un’impennata inquietante negli ultimi anni) sarebbe dovuto proprio al metano. “Ridurre le emissioni di metano è la via più rapida per contenere il riscaldamento globale” ha concluso il presidente statunitense Joe Biden. È l’allevamento, e non l’oil&gas, il settore produttivo che contribuisce maggiormente alle emissioni di metano: il 30% contro il 25%, prosegue Methane Moment. Seguono le discariche. 

Come si inquina con il metano

Nel settore estrattivo, le perdite di metano possono avvenire durante tutta la catena produttiva: dalla trivellazione al trasporto allo stoccaggio all’utilizzo finale, se la combustione è incompleta. “Negli allevamenti, invece, contano specialmente i ruminanti, che ne emettono molto durante i processi digestivi –  spiega a Wired Stefano Caserini, docente di mitigazione dei cambiamenti climatici e collaboratore di Italian Climate Network, ong tricolore –. Esistono anche dei regimi alimentari che promettono di ridurre le emissioni animali; ma la cosa più importante è limitare il consumo di carne rossa, come, peraltro, suggeriscono anche i medici. Ma esistono anche i vegetariani climatici, che consumano ad esempio carne bianca o di maiale per il minore impatto climatico”.  

Per quanto riguarda i rifiuti – aggiunge Caserini – il concetto è che bisogna separare la frazione umida, degradabile, da quella secca: in discarica deve finire solo quest’ultima, che non produce emissioni. Vanno monitorati anche i concimi

Il problema delle misurazioni 

Ma le misurazioni sono spesso vaghe, e se in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, perlomeno esistono, in altri sono del tutto assenti”, accusa ancora Methane Moment. Per questo tipo di valutazioni, le ultime tecnologie prevedono anche l’impiego di satelliti in grado di rilevare punti di emissioni e quantità sempre più piccole. “Un certa quota di incertezza è comunque tollerabile – sintetizza Caserini -.  Non mi sembra necessario spaccare il capello in quattro quando è chiaro che il problema esiste”.

Sul patto firmato oggi, invece, il docente dell’ateneo milanese solleva un dubbio: “È importante ricordare che puntare sulla riduzione delle emissioni di metano è una soluzione di breve periodo. La vera sfida per fermare il riscaldamento globale è limitare la CO2: un quinto dell’anidride carbonica resta nell’aria per migliaia di anni”. 



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www.wired.it
2021-11-02 16:57:55

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