Dal governo al Quirinale, perché il patto Salvini-Berlusconi-Meloni rischia di essere solo di facciata

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La brace che covava sotto la cenere della sconfitta ci ha messo poco a riprendere fuoco. Quelle parole di Salvini su Fratelli d’Italia e Meloni che devono finirla dall’opposizione di “rompere i c…oni agli alleati”, è quanto mai esplicativa del reale stato d’animo che si respira, al di là dei sorrisi e degli abbracci consegnati ai fotografi. Non possono fare altrimenti. Tanto la leader di Fratelli d’Italia che il segretario della Lega sono consapevoli che se si mostrassero divisi sarebbe la fine delle loro prospettive politiche di governo. Così hanno deciso di mettere momentaneamente da parte la competizione per la leadership e difendersi dal nemico comune, da quel coro sempre più numeroso di voci che tifa per il “Draghi forever”. Perché l’operazione fosse credibile però decisivo era (ed è) il ruolo di Silvio Berlusconi.

Il nervosismo dell’ala governista di Forza Italia

Il nervosismo crescente dell’ala governista di Forza Italia – rappresentata da Gelmini, Brunetta e Carfagna e da una fetta non irrilevante di parlamentari – nei confronti dell’asse sovranista Salvini-Meloni è sempre più evidente ed esplicito. Lo si è visto in occasione della nomina del capogruppo azzurro alla Camera dove lo scontro più che sui nomi è stato sulla linea politica. Ma Salvini e Meloni non possono permettersi di perdere i forzisti.Non tanto e non solo per quel 6-8% che i sondaggi assegnano in questo momento al partito del Cavaliere ma perché la loro proposta di alternativa, il loro candidarsi alla guida della terza economia europea nella prossima legislatura sarebbe poco credibile in Italia e soprattutto fuori dai confini nazionali.Non sarebbe più un’alernativa di centrodestra ma solo destra-destra.

Dopo l’assoluzione a Siena Berlusconi è convinto di poter tentare la scalata al Colle

Dunque hanno bisogno di Berlusconi, che peraltro non ha alcuna intenzione di divorziare dai suoi alleati naturali. Anche perché è davvero convinto di poter tentare la scalata al Quirinale, – soprattutto dopo l’assoluzione a Siena su uno dei filoni del Ruby ter.Anche per questo ci teneva tantissimo a partecipare al summit del Ppe a Bruxelles. Poche ore nelle quali oltre a farsi fotografare sorridente con Angela Merkel, ci ha tenuto a far sapere due cose: 1) Draghi è più utile al Paese se resta dove sta e cioè a Palazzo Chigi e non sul Colle; 2) il processo di avvicinamento della Lega al Ppe è lento ma continua e il Cavaliere se ne fa garante: ’’Nel Ppe non c’è nessuna preoccupazione” per eventuali derive estremiste nel centrodestra italiano, perché “sono tutti fiduciosi in me”.

Le mosse “nemiche” di Salvini

Peccato però che nelle stesse ore in cui l’ex premier enunciava urbis et orbis, Salvini a Roma spiegava ai suoi parlamentari che per il Quirinale non gli dispiacerebbe Draghi al Colle. E che di lì a poco avrebbe tenuto un videocollegamento con Marine Le Pen per discutere con la leader del Rassemblement National delle “prospettive dell’Europa” e della volontà di dar vita a un “nuovo gruppo” parlamentare a Strasburgo “che possa unire il meglio di Identità e Democrazia, dei Conservatori (Ecr)e del Ppe” . Insomma, non proprio una dichiarazione di pace nei confronti dei Popolari ma anche di Giorgia Meloni. La leader di Fdi è infatti il presidente dell’Ecr e ha detto più volte di essere contraria alla nascita di nuovi gruppi dove sarebbe destinata a subire il peso della Lega che a tutt’oggi è tra le forze politiche con il maggior numero di parlamentari europei.

Il Patto di Villa Grande potrebbe cadere dopo il terzo scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica

Come si usa dire, la partita è in evoluzione e in questi casi quello che si dice non sempre è quello che si pensa: Meloni e Salvini sono costretti a fare buon viso a cattivo gioco; Berlusconi insegue il sogno quirinalizio. Il patto sottoscritto a Villa Grande, la residenza romana dell’ex premier, dove si fa esplicito riferimento alla compattezza del centrodestra sulla corsa al Colle e si esclude qualunque sostegno a una riforma elettorale in senso proporzionale rientra tra le mosse tattiche e quindi ha un tempo, una durata limitata. Probabile che si esaurisca una volta terminato il terzo scrutinio, quando la corsa per il Quirinale entrerà nel vivo perché per eleggere il Capo dello Stato sarà sufficiente la maggioranza assoluta.



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