La biodiversità protegge la salute. “Il recupero delle specie tiene lontane le pandemie”

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Difendere e preservare l’ambiente è essenziale per prevenire future pandemie. Lo conferma un nuovo rapporto scientifico, il Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), realizzato dal Cary Institute of Ecosystem Studies di New York. La perdita di biodiversità fa aumentare, per gli esseri umani, il rischio di esposizione a patologie zoonotiche (cioè derivate dal contatto diretto o indiretto tra animali e uomo) sia nuove che già consolidate.

La professoressa Felicia Keesing, principale autrice dello studio, appare molto impegnata a sfatare i pregiudizi. “Oggi persiste il mito delle aree naturali selvatiche, ricche di biodiversità, come focolaio d’eccezione per le malattie in genere. Niente di più sbagliato. La biodiversità non è affatto una minaccia per l’uomo. Anzi, lo protegge dalle specie più pericolose per la sua salute”. Infezioni come quella provocata da Covid-19, da Sars o da Ebola sono causate da agenti patogeni condivisi tra l’uomo e altri vertebrati. Ma non tutte le specie trasmettono i virus allo stesso modo”.

Rick Ostfeld, ecologo al Cary Institute e coautore dell’articolo, aggiunge: “Le specie che prosperano in contesti ambientali sviluppati ma biologicamente degradati spesso accolgono più facilmente i batteri patogeni e altrettanto facilmente li trasmettono alle persone. Al contrario, negli ambienti meno antropizzati, contenenti una maggiore diversità animale, questi germi sono meno abbondanti, anche perché la biodiversità ha un effetto protettivo”.

Secondo i ricercatori del Cary Institute, gli animali più piccoli e dalla vita breve possiedono difese immunitarie scarse, ma proliferano velocemente. Perciò sono più rapidi nel trasmettere malattie rispetto alle bestie più grosse, che vivendo più a lungo, sviluppano una immunità adattativa più forte. Peccato che i più grandi tendono a estinguersi per primi. Come se non bastasse, l’uomo ci mette del suo.

“Riducendo la biodiversità del pianeta – osserva Ostfeld – noi facilitiamo il sopravvento di specie che con più probabilità diventano portatori di malattie zoonotiche, aumentando così anche la frequenza delle pandemie. Bisogna sforzarsi di conoscere meglio il modo in cui gli habitat degli animali si trasformano, come agiscono i cambiamenti climatici, in che misura lo sfruttamento intenso dell’ambiente influenza gli ospiti zoonotici e soprattutto come il ripristino della biodiversità nelle aree degradate potrebbe ridurne l’abbondanza”.

Bisognerebbe inoltre chiarire una volta per tutte che, per ogni nuovo virus, esista un’unica origine animale. Gli agenti patogeni che si trasferiscono dalle bestie all’uomo si possono ritrovare in un gran numero di specie, non soltanto in una. Dopotutto li chiamiamo “saltatori”, per cui la loro capacità di spostarsi con prontezza è presto definita. Stando alle conclusioni dello studio del Cary Institute, approfondire al massimo le caratteristiche delle specie animali che fungono da ospiti zoonotici  – strategie immunitarie, resilienza ai disturbi esterni, preferenze dell’habitat – è la chiave per proteggere la salute pubblica. La previsione dei luoghi in cui queste specie possono prosperare e in cui la trasmissione di batteri all’uomo appare come probabile può guidare interventi mirati.

Ma per la dottoressa Keesing è il recupero delle specie in via di estinzione la più importante frontiera da raggiungere nella gestione del rischio di malattie zoonotiche. “Mentre ricostruiamo le nostre comunità dopo la devastazione provocata dal Covid-19, dobbiamo tener presente che una delle nostre migliori strategie per prevenire future pandemie è proteggere, preservare e ripristinare la biodiversità”.



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