Reperire terre rare è sempre più difficile per l’Europa. La Cina, da sola, garantisce attualmente il 49% del fabbisogno totale effettivo di materie prime critiche globali e le crisi geopolitiche dell’ultimo anno, hanno peggiorato la situazione. La situazione è così grave che nel luglio scorso il governo italiano, per via del ministero dell’Ambiente e del ministero delle Imprese e del made in Italy, ha annunciato di voler riaprire le miniere nazionali per estrarre elementi per le batterie elettriche delle automobili. Materiali rari come litio, grafite, uranio, cobalto, titanio o tungsteno sono sempre più necessari per tantissimi prodotti e processi sostenibili.
È chiaro, però, che il costo dell’impatto di queste estrazioni minerarie è pesantissimo: sia in termini ambientali che economici. Da questa esigenza, e dall’intuizione di due fisici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nasce quindi una sperimentazione che promette di sostituire completamente questi elementi scarsi con dei materiali compositi. Le ricadute di un’impresa di questo tipo sull’intero sistema nazionale potrebbero avere un forte impatto dal punto di vista economico, strategico e geopolitico, perché l’Italia diventerebbe un punto di riferimento per le industrie che operano nell’ambito della transizione ecologica.
Un approccio innovativo: sostituire (e non cercare) le terre rare
Come ha spiegato il ministro delle Imprese Adolfo Urso in un’audizione alla Camera di luglio scorso, l’Unione europea dipende quasi esclusivamente dalle importazioni di questi materiali scarsi. E per questo sta approntando un piano. Come afferma il ministro, “ha definito 34 materie prime critiche, di cui 16 considerate anche strategiche per la loro rilevanza nella transizione ecologica e digitale, destinate all’aerospazio e alla difesa, ma anche importanti per il divario fra offerta globale e domanda prevista.
Per Stefano Bonetti, professore ordinario di Fisica della nateria a Ca’ Foscari e rappresentante di Fondazione Rara Ets, no profit nata per promuovere ed effettuare ricerca su tecnologie e materiali sostenibili, occorre sostituire completamente le terre rare con dei materiali compositi, delle leghe, che possono avere le stesse proprietà. “Ci siamo inventati un modo rivoluzionario rispetto all’esistente – precisa il professore – sostituire un materiale raro con un materiale nuovo, appare una sfida enorme dato che le combinazioni possibili dei materiali sono circa 10 alla 80, ovvero quanto il numero di atomi nell’universo. Noi stiamo brevettando un metodo basato su un software e un approccio sperimentale”. Il problema è infatti come combinare questi materiali alternativi per ottenere quelli rari e quale metodo adottare per farlo al meglio. Grazie a un mix di competenze, che va dalla fisica della materia alla fisica teorica e all’informatica, il team di RaRa ha sviluppato un algoritmo in grado di ottimizzare la ricerca di questi materiali in maniera molto più efficiente di quanto fatto fino ad ora.
Come funziona il metodo della Fondazione RaRa
Innanzitutto, questa soluzione nasce dalla sinergia di competenze. “L’idea originale è stata mia – spiega Bonetti – che sono un fisico dei materiali e del collega Guido Caldarelli, specializzato in fisica delle reti: dalla nostra esperienza abbiamo incluso sia altri fisici dei materiali (che rimane la competenza più importante) sia lato industria, imprenditori, legali e comparti produttivi competenti. Anche le capacità del nostro team spaziano dalla ricerca applicata allo sviluppo marketing”. Tanto appare promettente l’innovazione della Fondazione RaRa che Bonetti è stato invitato per un’audizione alla Commissione Esteri della Camera dei deputati sul tema dell’approvvigionamento di terre rare, dove ha presentato l’attività della fondazione. E dato l’interesse suscitato la fondazione pensa anche a una fase di go-to-market per il proprio prodotto.
Prosegue Bonetti: “Andiamo a prendere l’abbondanza: grandi quantità di elementi facilmente reperibili come silicio, alluminio, ferro o potassio. Anche se estratti da qualche parte, rimangono elementi di uso comune. E come li mettiamo assieme è la ricetta segreta dell’algoritmo: da infinite combinazioni, noi ne abbiamo trovata una che ci aspettiamo che in qualche anno ci porterà alla realizzazione di qualsiasi materiale sostitutivo”.
Terre rare: tutto è sostituibile
Secondo il docenti della Ca’ Foscari potenzialmente ogni materiale scarso è sostituibile attraverso questo metodo. E alcune sperimentazioni sono già in fase avanzata: “Pensiamo ai magneti: quelli che compongono la cuffie contengono neomidio, ovvero i magneti più forti che esistono. Si usano nella batteria della Tesla come negli airpods: vogliamo la transizione ecologica e digitale ma usiamo materiali impattanti. Noi puntiamo a produrre dei magneti senza neomidio”. Ma Bonetti specifica che “il nostro algoritmo è così generale che vale per qualsiasi materiale, come ad esempio litio, manganese o coltan”. Per questa tipologia di sviluppi, adesso la fondazione cerca finanziamenti: “Abbiamo tanti potenziali clienti, ma al momento sono solo potenziali – ammette Bonetti -. L’investimento è stato finanziato con qualche decina di migliaia di euro ma stiamo chiedendo fondi per lo sviluppo in termini di diversi milioni”. L’interesse istituzionale e privato sicuramente è altissimo: “Obiettivo di Unione europea e Stati Uniti è spostare soprattutto la produzione di chip dalla Cina, che è il player dominante”, conclude Bonetti. La Commissione esteri della Camera che ha chiamato in causa il professore terminerà la propria investigazione tra un anno e a quel punto trarrà le sue conclusioni. Nel frattempo, la Fondazione è già in movimento per passare alla pratica industriale.
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di Gianluca Schinaia www.wired.it 2024-01-22 06:00:00 ,