La multa contro Donald Trump è arrivata al termine di una protratta saga giudiziaria, ma alla fine è stata di quelle che che fanno notizia: 355 milioni di dollari. Che con gli interessi potrebbe superare i 400 e anzi raggiungere, stando ai calcoli della procura, i 450 miliardi. Non basta: Trump sarà messo al bando dalla gestione di qualunque azienda a New York, compresa la propria, per tre anni. I suoi due figli adulti, Eric e Don Jr., sono stati a loro volta condannati a 4 milioni di multa e messi al bando da posizione di leadership aziendale per due anni. Mentre uno speciale controllore indipendente rimarrà in carica per tre anni dentro la Trump Organization, che non viene dissolta ma sarà strettamente sorvegliata per garantire il rispetto della legge.
La giornata del giudizio di Engoron
Il giudice di New York Arthur Engoron ha emesso la sua decisione nel caso civile per truffa contro Trump, una decisione che è stata un duro schiaffo per l’ex presidente già a guardare alle sanzioni. Nelle 92 pagine di motivazioni si è però spinto anche oltre: ha messo in rilievo il mancato rimorso e mancata assunzione di alcuna responsabilità, «al limite della patologia». Se ha detto che Trump non è Bernie Madoff, ha aggiunto che «le frodi trovate scioccano la coscienza».
Patrimonio truccato
Trump e i suoi familiari sono stati condannati per aver gonfiato ad arte gli asset e il patrimonio di famiglia, falsificando documenti finanziari, per strappare condizioni vantaggiose sui prestiti dalle banche. Oltre metà della penale è stata basata sui mancati profitti che sarebbero derivati da prestiti che avrebbero dovuto essere più costosi, con interessi vicini al 10% e non sotto il 2% come aveva ottenuto, se soltanto i creditori avessero avuto informazioni corrette. Il caso era scaturito inizialmente da rivelazioni sul ruolo di Trump nelle finanze del suo gruppo da parte dell’ex avvocato personale e confidente del magnate Michael Cohen.
Il caso della Penthouse
L’esempio forse più eclatante di manipolazione venuto alla luce riguarda la sua penthouse nella Trump Tower, sopravvalutata dichiarando, per anni, che era tre volte più grande di quanto non fosse in realtà. Trump, nonostante questo, ha detto che farà rapidamente appello, definendo la sentenza “corrotta” e ingiusta, “una completa farsa” politicamente motivata. I sui avvocati hanno sottolineato che non ci sarebbero vittime, perchè nessuno ha davvero perso soldi. Ma la legislazione di New York non richiede di provare l’esistenza di danni a vittime per arrivare a una conclusione di truffa.
Un ostacolo nella corsa alla Casa Bianca?
Per l’ex Presidente, che punta ad una nuova nomination repubblicana alla Casa Bianca, è stato però il più grave smacco finora sofferto. Le sfide non sono terminate: a carico ha anche quattro processi penali, il primo sempre a New York per tangenti volte a comprare il silenzio di una pornostar durante la campagna del 2016, che dovrebbe iniziare dal 25 marzo. E’ già stato di recente condannato per diffamazione, oltre 80 milioni, ai danni di una autrice che aveva molestato sessualmente e poi attaccato verbalmente e online. Ma il caso per truffa va al cuore della sua identità di magnate di successo. «La lunga truffa era intenzionale, egregia e illegale, non ci possono essere regole diverse per diverse persone nel Paese, e gli ex Presidenti non fanno eccezione. Oggi Trump finalmente fa i conti con le sue menzogne e enormi frodi», ha detto Letitia James, il procuratore generale dello stato di New York che ha portato le accuse. Anche se resta da vedere quale sarà l’effetto politico: ad oggi le saghe legali lo hanno rafforzato tra la sua vasta base di fedeli. Nei sondaggi resta ampiamente il favorito a correre per i repubblicani alla Casa Bianca contro Joe Biden a novembre.