Via Lattea, la prima mappa “a neutrini” ce la mostra come non l’abbiamo mai vista
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Via Lattea, la prima mappa “a neutrini” ce la mostra come non l’abbiamo mai vista
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Ci sono tanti modi in cui gli scienziati hanno mappato la nostra galassia, la Via Lattea, ma tutti avevano a che fare con lo spettro della luce, dalle onde radio ai raggi gamma. Almeno finora. La collaborazione internazionale IceCube, infatti, ha appena annunciato di aver sviluppato un nuovo metodo di machine learning, grazie al quale per la prima volta ha rilevato neutrini (particelle elementari particolarmente sfuggenti) provenienti dal nostro piano galattico, che ne restituiscono un’immagine inedita. Quella ottenuta, per il momento, è una mappa ancora sfocata e incompleta, ma che in futuro potrà mostrarci cose come i resti in espansione delle stelle che hanno concluso la loro vita (supernovae) e anche aiutarci a capire alcuni misteri dell’Universo, come la materia oscura. La ricerca portata avanti dai ricercatori di IceCube è stata pubblicata sulle pagine di Science.

Neutrini, le particelle “fantasma”

I neutrini sono particelle elementari prive di carica e con una massa piccolissima, tanto che non si è ancora riusciti a misurarla. Teorizzati per la prima volta nel 1930 dal fisico Wolfgang Pauli, si formano quando i raggi cosmici si scontrano con la materia e generano particelle effimere che, decadendo, originano, appunto, neutrini e raggi gamma. Le fonti di neutrini sono diverse: derivano dall’interazione dei raggi cosmici con la nostra atmosfera, per esempio, ma altri giungono dal Sole e altri ancora sono generati da esplosioni di supernovae nello Spazio esterno. I neutrini possono essere anche “artificiali”, ottenuti all’interno degli acceleratori di particelle o dei reattori nucleari.

I neutrini sono anche detti particelle fantasma o spettrali perché sono le più elusive finora scoperte: interagiscono molto raramente con la materia e sono in grado di attraversare enormi spessori senza generare perturbazioni. Proprio per questo sono una sorta di istantanea del momento della loro formazione, ma sono anche estremamente difficili da rilevare.

Un algoritmo “acchiappa fantasmi”

Ed è qui che entrano in gioco esperimenti come IceCube: 5mila sensori fotomoltiplicatori, conficcati tra 1,5 e 2,5 km di profondità nel ghiaccio dell’Antartide in un’area quadrata di un chilometro per lato, catturano quei lampi di luce scaturiti dalle rare interazioni dei neutrini che l’attraversano.

Negli ultimi 10 anni, IceCube ha rilevato centinaia di neutrini ad alta energia. Ma in tutta la mole di dati raccolta, la sfida è capire da dove quei neutrini provengano. Per abbattere il “rumore di fondo”, gli scienziati hanno utilizzato dei “filtri”. Considerando solo i segnali in ingresso dall’emisfero boreale della Terra, per esempio, hanno identificato diversi neutrini provenienti dallo Spazio esterno, da altre galassie. Così, però, non era possibile stabilire se ce ne fossero e quali provenienti dal centro della nostra galassia.



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di Mara Magistroni www.wired.it 2023-06-30 11:32:17 ,

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